Dino Caruso Galvagno

Intervista a Dino Caruso Galvagno, illustratore e fumettista

Dino Caruso Galvagno
Tutte le immagini e le foto in questa pagina per gentile concessione dell'artista.

In questo episodio di Iride intervistiamo Dino Caruso Galvagno, illustratore e fumettista.

Nato ad Adrano, sulle pendici dell'Etna, Dino Caruso Galvagno racconta della sua vita in Sicilia tra realismo magico e interpretazioni di Gesù durante la Via Crucis.
Scopriamo insieme come il disegno sia stato un modo per esprimere (e accettare) sé stesso e fuggire dal bullismo e dal senso di invisibilità che ne è derivato.

Durante l'intervista ci spiega le sue collaborazioni con Marvel e Disney, l'instabilità lavorativa che ha vissuto e che lo hanno portato ad avviare un progetto lavorativo parallelo, la decisione di emigrare in Spagna per trovare nuovi stimoli artistici e personali e molto altro.

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Iride: Stai ascoltando iride, il podcast che guarda il mondo attraverso gli occhi di artiste e artisti L G B T Q.

Io sono Guido e oggi scopriremo passo a passo il mondo di Dino Caruso Galvagno. Benvenuto!

Dino Caruso Galvagno: Benvenuto a te, Guido. Grazie.

Iride: Sei nato ad Adrano, un magnifico paese di trentamila abitanti alle pendici dell'Etna e qualche anno fa, durante la Via Crucis che si svolge ogni anno per le vie del paese, hai interpretato Gesù.

Com'è stato essere Gesù, seppure solo per qualche ora?

Dino Caruso Galvagno: Mi piacerebbe chiedere a Gesù com'è stato il fatto che lo abbia interpretato.

È stato figo, è stato figo soprattutto per le signore del paese mio, che sino a giorni successivi, poi, dopo la presentazione della via crucis, continuavano a baciarmi le mani quando mi incontravano per strada.

Iride: Direi un'esperienza che probabilmente non dimenticherai facilmente. Com'è nata questa cosa? Come ti sei fatto coinvolgere in una via crucis?

Dino Caruso Galvagno: Allora tieni conto che ero giovane. Ero inesperto. Non ero ancora né anticlericale, né agnostico.

Nei paesi c'è poco da fare in generale. Immagina in un paese dell'entroterra siciliano e quindi i gruppi, eh, diciamo ludici, legati anche alle parrocchie, agli oratori sono tanti e quindi io mi ritrovai in uno di questi e la cosa nacque un po' spontanea tra le attività che si facevano in oratorio, praticamente.

Iride: E sempre in oratorio hai iniziato anche a disegnare?

Dino Caruso Galvagno: No, a disegnare ho cominciato molto, ma molto prima. A disegnare ho cominciato molto da bambino.

Diciamo che a casa mia non c'è mai stata un'educazione all'arte, però si disegnava. In generale non si parlava di cultura e di arte, ma si disegnava molto e quindi io ricordo sin da molto piccolo di esprimermi in questa maniera.

Era una cosa che mi usciva bene fra l'altro e secondo il parere anche di chi mi stava attorno. Ed è una cosa che poi ho sviluppato pian piano, anche perché molte volte nella mia vita, ma sin da bambino, è stata anche una via di fuga da eventi magari piacevoli o anche meno piacevoli della mia infanzia e poi della mia adolescenza.

Disegnare è stato un po' anche un costruirmi un immaginario personale, un immaginario proprio e dei mondi che mi servivano proprio come via di fuga, anche come una forma di comunicazione. Perché fondamentalmente ero un ragazzino e sono ancora un ragazzino di trentacinque anni timidissimo, nonostante non sembri e quindi in qualche modo il disegno era quello spazio sicuro in cui mi potevo esprimere.

Potevo esprimere me stesso pienamente senza nessun tipo di vergogna, senza nascondere niente.

Iride: Gesù timido mi riesce difficile immaginare, però devo dire che è un'immagine molto bella.

Da che cosa fuggivi quando disegnavi?

Dino Caruso Galvagno: Ma guarda un po' dalla realtà in generale, dagli eventi un po' spiacevoli anche legati un po' alla mia famiglia da molto giovane.

Io sono stato vittima di bullismo nelle elementari e nelle scuole medie e nelle superiori poi, fortunatamente, questa cosa è scemata, anche perché poi in un altro tipo di ambiente, anche concretamente artistico.

Allora a me facevano bullismo, per esempio, perché non rientravo dentro quello che l'eteropatriarcato voleva: un ragazzino forte e che giocava a calcio, io ero pessimo a calcio avevo i capelli lunghi, anche se adesso non lo diresti. Avevo i capelli lunghissimi, avevo delle forme anche effeminate. Ero delicatissimo.

E quindi diciamo che nel mio caso, come ragazzino bullizzato, anche violentemente, per me disegnare era non solo una forma per scappare da quelle realtà, da quel dolore, che poco si parla del danno e del dolore che provoca il bullismo nella gente. E che è una cosa che poi ti porti pure da grande e ti forma in qualche modo, ti forma in una maniera che poi, diciamo ti influenza, influenza anche la tua maturità.

Quindi in qualche modo il disegno mi ha aiutato anche a farmi accettare, molte volte, in gruppi questa insicurezza che mi ha creato un po' il bullismo nel "non ti accettano, non ti vogliono". E poi in alcuni episodi della mia vita, in realtà è stata quella cosa di:" Mamma mia che bene disegni, e che figo, vediamo, disegnaci questo, fai quest'altro." E quindi è stata anche la mia chiave per poter entrare in qualche modo e anche per essere accettato molte volte.

Iride: Che cosa disegnavi all'epoca?

Dino Caruso Galvagno: Che cosa disegnavo? Allora.. Disegnavo un sacco e mi piaceva un sacco creare personaggi. Piccolo character designer proprio da piccolissimo, ricordo di disegnare tutti questi personaggi fra l'altro coerenti tra loro, con i loro spazi, i loro mondi. Ero praticamente ossessionato dall'animazione.

Io guardo l'animazione da quando ero proprio piccolissimo e i fumetti poi sono venuti, diciamo un po' dopo.

E quindi era un po' riprodurre le animazioni.

Da piccolo ho scoperto, senza che nessuno me lo insegnasse, come si facesse un'animazione 2D, quindi per me fu una scoperta, come se fossi stato il primo ragazzino a scoprire come si facessero i cartoni animati.

Veniva gente a casa mia:" Guarda come si fanno i cartoni animati." E facevo queste tirate piccolissime in questi piccoli blocchi che creavo io stesso, dove animavo i miei personaggi, dove animavo delle piccole storie e questo era un po' il mio, diciamo il mio mondo.

Iride: In un'altra delle interviste che abbiamo fatto, un'intervista a Clara Cloro, che è un'altra artista che è passata da Iride, ci ha raccontato che era ossessionata dai Biker Mice, che era un cartone animato molto, molto di voga quando quando eravamo più piccoli. Qual era la tua ossessione?

Dino Caruso Galvagno: Un'ossessione concreta, non so che dirti, perché ce n'erano tantissime, proprio guardavo talmente tanti cartoni animati da "Il mistero della pietra azzurra" in italiano e guardavo un sacco di anime senza sapere cosa fossero in realtà, da "Sailor moon", un po' di animazione anche europea e quindi in realtà erano proprio tante le cose che disegnavo.

Che poi in realtà più che riprodurle, perché poi la riproduzione è nata dopo, quando ho cominciato anche ad avvicinarmi al mondo dei fumetti e per cui diciamo, riproducevo e copiavo per allenare la mano.

Però prima di quella stagione, diciamo che reinterpretavo quello che vedevo. Quindi se vedevo un cartone animato tipo Biker mice, la mia era una riproduzione di un altro personaggio simile e magari relativo un poco a quel mondo, a quel contesto, però era mio personalmente, cioè personale.

Iride: Come sei passato da fare disegni a casa per i tuoi amici, per la tua famiglia, a farne un lavoro?

Dino Caruso Galvagno: È stata una cosa ricercata, evidentemente. Perché crescendo comunque, diventando adulto, formandoti poi a una certa per me il disegno era quello che volevo fare. Era quello che mi riusciva meglio.

Quando una cosa ti piace tanto, vuoi che si trasformi in lavoro che è un sogno fra l'altro è una cosa, io mi sento molto fortunato, devo dire nel fatto che il mio lavoro coincide con quello che più mi piace fare.

Quindi è stato un po' uno sforzarsi e dopo ovviamente la mia carriera professionale in generale, uno sforzarsi nel ricercare un po', muoversi in quel mondo e cercare di conoscere persone che già lo facevano, artisti e artiste che già lo facevano, per cui apprendere a come si facesse.

E poi le cose sono nate un po' da sé, perché una volta che cominci a entrare nel mondo dell'editoria, un po' nel mondo anche dell'animazione del fumetto, poco a poco le cose vengono da sé.

Contatti, mail, ti butti e le risposte arrivano.

Iride: Qualche anno fa hai deciso di trasferirti dall'Italia alla Spagna. Ti sei trasferito per lavoro o ti sei trasferito perché ami il paese, perché sei particolarmente affine al mondo spagnolo?

Dino Caruso Galvagno: L'amore per la Spagna è nato successivamente in realtà, vivendoci.

Io sono andato via dall'Italia perché dopo la formazione praticamente all'istituto d'arte, le superiori, che era l'istituto d'arte, che non so se ancora esiste tra l'altro a Catania, perché poi è stato, diciamo, trasformato solo nel liceo artistico.

Tra l'altro, questi anni bellissimi, in questo edificio settecentesco, barocco, catanese e in questi cortili immensi, dove ci riunivamo a disegnare.

Ricordo un'epoca addirittura di occupazione, in cui occupammo l'istituto, quindi queste lezioni autogestite di fumetto. Sono stati anni bellissimi dove mi sono formato tantissimo anche nelle tecniche di stampa, all'epoca fra l'altro era quel periodo in cui ancora il digitale non era del tutto arrivato. Quindi io ho vissuto pienamente l'analogico, la fotografia analogica, come si creasse una tipografia analogicamente, la grafica, i primi Mac.

Quindi dopo questa esperienza sono entrato nell'accademia di Belle Arti di Catania e diciamo che non è stato sufficiente e ho cominciato a fare pittura e dopo aver fatto appunto grafica e tecniche di stampa e fotografia e a fare pittura nell'Accademia di belle arti, però non era sufficiente per me.

Non era sufficiente non solo l'ambiente accademico, ma non era sufficiente neanche l'ambiente culturale, purtroppo.

Quindi a una certa in realtà, conoscendo poco la Spagna e parlando anche con amici un po' più adulti di me, gente che comunque già viveva fuori.

 Dove vado? Dove vado? Londra, Barcellona?

Alla fine è caduta la scelta su Barcellona perché è bagnata dal mare. Quindi io come un buon isolano, diciamo l'unità di misura della scelta è stato il mare.

Che poi in realtà io sono di un paese di montagna, quindi fai tu, più vicino al vulcano che quasi vicino al mare.

È stata una scelta formativa, perché poi a Barcellona è dove ho cominciato a studiare illustrazione, animazione vera e propriamente, perché era quello che più volevo fare, perché poi alla fine l'istituto D'arte mi aveva dato, diciamo, una un'amalgama iniziale, però in realtà non avevamo materie come il fumetto, per esempio, come l'animazione.

È stato più una formazione a livello proprio di disegno vero e proprio, di grafica, mentre poi invece a Barcellona io ho cominciato realmente arti visuali, animazione e fumetto.

Quindi ero contentissimo, ho cominciato proprio a studiare e a prendere nel campo in cui volevo muovermi.

Iride: Hai menzionato che a Catania non c'era l'ambiente culturale stimolante abbastanza per te. Che cosa intendi?

Dino Caruso Galvagno: Non so se era l'ambiente catanese o l'ambiente italiano, in realtà, perché poi molte volte mi capita di tornare in Italia e non so se perché ormai sono molto abituato all'ambiente straniero, all'ambiente spagnolo, mi sento molto spagnolo, anche per concretamente avendo la nazionalità, sono effettivamente spagnolo legalmente.

Ricordo l'accademia come un ambiente che non riusciva a darmi gli stimoli e le spinte, non solo creative, ma anche umane, che io cercavo e anche relative al confronto con altri studenti.

Sono una persona timida, ma sono anche una persona molto provocatrice, in realtà.

Quindi ricordo questi diciamo ambienti provocatori, però nel senso stimolanti, nel senso di crescita in cui non ricevevo nessuna risposta. Quindi a una certa mi ritrovavo solo in un ambiente dove io cercavo qualcosa che poi in realtà non mi si formava per quello.

E quindi a una certa ho detto:" No, devo andare via da qui perché non sto ricevendo la formazione che io voglio, non solo creativa, ma anche umana, no?"

Cioè, non sto crescendo anche a livello come giovane artista, diciamo, in quel senso.

Iride: Il tema della migrazione ritorna nei tuoi lavori. In che modo essere migrante ha influito poi sul tuo lavoro?

Dino Caruso Galvagno: Ma ha influito tantissimo perché, poi fai tu per un siciliano andare via dalla sua terra.

È stato difficile. Io ho passato momenti molto difficili e la cosa mi ha influenzato tantissimo. E credo che fra l'altro sia parecchio visibile in tutto quello che faccio perché è una tematica, un po' che un po' che mi tormenta lì e un po' anche questa ricerca di della casa, di lasciare la tua casa per la ricerca di una nuova casa, sentirti magari tra due case la Sicilia, la Spagna.

Anche se devo dire che io in Spagna adesso, dopo quattordici anni, quasi considero più casa la Spagna che l'italia che la Sicilia, nonostante io abbia mia madre, la mia famiglia lì, i miei fratelli, le mie radici rimangono sempre lì.

Poi fra l'altro, la Sicilia in qualche modo mi ha influenzato, anche perché la Sicilia è una regione parecchio peculiare, perché non solo perché sia un'isola dentro l'Italia, ma perché è una è una regione parecchio, è piena di storie.

Cioè in Sicilia ti raccontano storie sin da bambino, ma non solo i familiari, tutto ha una storia, tutto ha una leggenda, un mito e poi da adulto ho realizzato che in realtà la Sicilia è carica di realismo magico. Si parla molto del realismo magico dell'america del Sud, ma in realtà la Sicilia, che questo in realtà ha i suoi pro e i suoi contro, perché tutto il realismo magico è qualcosa di meraviglioso, però è qualcosa anche che ti isola e crea una realtà parallela che molte volte poi non è carica di praticità, per esempio, non è carica di come insegnarti a vivere o come si vive nella realtà attuale, nel Duemila e ventiquattro nel mondo.

Iride: Sei riuscito a entrare in contatto con la comunità LGBTQ già quando eri in Italia o i primi contatti sono avvenuti in Spagna?

Dino Caruso Galvagno: No, erano già stati in Italia perché poi alla fine, io ne facevo parte, ne facevo parte come persona, quindi già a Catania cercavo, diciamo quelli che erano ambienti, cercare un po', la mia identità, il mio ruolo.

Poi, ovviamente in Spagna è stata un'esplosione, ma anche perché ti sto parlando di quattordici, quindici anni fa.

Perché non ti posso parlare dell'ambiente italiano? Perché io vivo in Sicilia e non era come magari potesse essere oggi l'ambiente siciliano, relativo alla comunità LGBTQ+ e fai conto che in Spagna il matrimonio egualitario è stato approvato nel Duemila e sei, quindi l'italia era già molto più avanti tra virgolette.

Iride: Come sei entrato in contatto con la comunità LGBTQ a Catania?

Dino Caruso Galvagno: Ovviamente la mia identità era relativa al collettivo. Quindi è stato un po' cercare amicizie, non è stato un cercare un'associazione, non è stato qualcosa relativo all'associazionismo.

Nonostante io sia una persona che fondamentalmente ho uno spirito associazionistico e attivista però no, in realtà non ho mai fatto parte di nessun gruppo.

A Catania è stato un po' cercare amicizie, un po' confronti con persone che esplicitamente facessero parte del collettivo, è stato partecipare al Pride di Catania e poi anche relativo comunque all'ambiente artistico.

Fortunatamente l'ambiente artistico, possiamo dire in qualche modo aiuta, aiuta, ma questo già dalle superiori. Io ricordo l'ambiente artistico dell'istituto d'arte, era molto aperto, era provocatore e quindi mi sentivo come a casa.

Iride: Hai menzionato il collettivo un paio di volte. Questo termine "collettivo", che cosa intendi con collettivo?

Dino Caruso Galvagno: Guarda io la parola collettivo, in realtà l'ho appresa in Spagna e perché in Spagna si usa parecchio perché alla fine la parola collettivo e molte volte quelle che sono le sigle LGBTQI+, possono essere d'aiuto, possono essere, diciamo, una corda che ti "permette di" o possono anche essere una barriera, perché molte persone non sanno cosa vogliono dire ognuna delle lettere, per esempio.

Quindi magari sostituire le lettere con una parola come collettivo, che si avvicina più a famiglia, che si avvicina più a qualcosa a cui appartieni, è una cosa che diciamo ho imparato, è una cosa che poi io ho metabolizzato e ho fatto un po' mia, quindi di utilizzo spesso la parola collettivo, perché alla fine sono una persona che cerca sempre spazi sicuri, ma non solo per me, ma pure per le persone che mi stanno attorno, dove le persone si sentono bene, dove si sentono sicure, dove si sentono a casa. E la parola collettivo per me è diciamo il riassunto di tutte queste cose.

Iride: Il tuo essere parte del collettivo si rispecchia poi nel lavoro che fai?

Dino Caruso Galvagno: Spero di sì. Spero vivamente, questo lo potranno dire chi guarda magari i miei lavori. Spero di sì. Ma io ci tento. Ci tento perché alla fine fa parte della mia identità.

Non posso fuggire da quello che sono. E quello che sono alla fine si riflette in tutto quello che faccio.

Anche quando si parla di lavori, diciamo commissionati da clienti specifici, mi piace inserire, mi piace anche provocare in quel senso, quindi spero che si veda, spero che sia chiaro. E sì, questo fondamentalmente.

Iride: Hai lavorato con con clienti come Marvel, come Disney, come il Corriere, grossi nomi, grossi nomi internazionali.

Quanto è difficile, se è difficile, inserire certi temi all'interno dei lavori commissionati da questo tipo di aziende?

Dino Caruso Galvagno: Ma guarda, fortunatamente no.

Non ho mai ricevuto una critica di questo tipo da parte di un cliente in generale internazionale, per esempio.

Anzi, ho sempre ricevuto, fortunatamente diciamo approvazione anche un propositivismo relativo alle tematiche in generale. Allora, da un lato credo che sia il fatto che viviamo in un'epoca, comunque, che è estremamente aperta ed estremamente accogliente, anche se e lascio lì, diciamo la parentesi aperta, purtroppo.

 Tutti sappiamo cos'è il pinkwashing. In realtà, sfortunatamente e diciamo che quello che è il collettivo LGBTQI+ è diventato anche una fetta di mercato e questo le grandi aziende lo hanno capito.

Però ti posso pure dire che se si parla di pinkwashing, ben venga un pinkwashing che finalmente mette sotto obiettivo quello che è una minoranza che fino magari all'altro ieri era stigmatizzata, era bullizzata. Quindi ben venga.

Iride: Qual è la reazione che ha il pubblico al tuo lavoro?

Dino Caruso Galvagno: Allora, a parte meno in quei casi in cui magari qualcuno che non sia un cliente, evidentemente mi scriva, ho ricevuto molte volte messaggi di complimenti :" E mi piace questa cosa!" O gente che comunque mi scrive perché magari poi, privatamente mi commissiona o vuole una stampa di qualcosa in concreto.

A parte questi esempi espliciti credo sia sempre stata positiva, la reazione e non ho mai ricevuto nessuna critica diciamo poco costruttiva o che comunque sia stata fatta con la voglia di magari criticare negativamente.

Ti racconto una cosa che invece fa un po' ridere, in una delle illustrazioni... a me piace molto la simbologia. Sin da giovane sono sempre stato legato un po' anche a quelle che sono le materie esoteriche. La simbologia e l'alchimia. Quindi molte volte esce qualche illustrazione con qualche cosa simbolica con qualche cosa e a volte no, in realtà.

Una volta mi sono ritrovato con un messaggio sulle mie reti di una persona sconosciuta e straniera fra l'altro.

Credo che mi scrivesse dagli Stati Uniti, dicendo che una mia illustrazione che era un'illustrazione a totalmente casuale, incitava al satanismo e all'uso del satanismo, addirittura nell'adolescenza.

E quindi mi sono ritrovato a dire a questa persona:" Guarda, ti stai sbagliando, mi dispiace se magari a livello simbolico involontariamente, io abbia toccato dei campi che non dovevo."

Però ovviamente la mia intenzione non era quella.

Dove non c'è intenzione, evidentemente il problema non si pone e praticamente questa persona poi mi ha bloccato e io mi sono sentito accusato di satanismo e di tipo di sfruttamento minorile legato al satanismo.

Tutta una teoria del complotto che mi ha fatto sorridere, in realtà. Non l'ho presa male, diciamo.

Iride: Cosa vorresti comunicare alle persone che guardano il tuo lavoro?

Dino Caruso Galvagno: In realtà in quello che faccio non penso molte volte a un pubblico. In realtà quello che faccio per me, la maggior parte delle volte, è un'espressione di quello che sono. È una voglia di lavorare su un progetto concreto, sì, di affrontare alcune tematiche concrete.

Quelle volte in cui ho lavorato per creare dei messaggi, per creare un link, diciamo tra me e il pubblico, è sempre stata una tematica attivista, quindi legata al collettivo e non.

Quindi in realtà forse quello che vorrei è che ognuno si senta in uno spazio sicuro, che trovi la la sua fetta di società, la sua casa. Che si senta rappresentato, diciamo. È quello che vorrei. Vorrei che qualsiasi persona sia visibile, che non esistano persone invisibili. E questo l'ho imparato a mie spese perché uno dei danni che fa un po' il bullismo e renderti invisibile.

Io molte volte ho delle insicurezze anche professionali, sul fatto che mi chiedo molte volte se io sia invisibile, perché è quello con cui diciamo il bullismo mi ha massacrato.

Quindi vorrei che praticamente chi vede i miei lavori si senta in uno spazio sicuro, si senta rappresentato, si senta visibile. È quello che vorrei, sì.

Iride: C'è qualche tuo lavoro a cui sei particolarmente affezionato e che trasmette secondo te in modo più efficace, questo questo tipo di messaggio?

Dino Caruso Galvagno: Ma non c'è un lavoro concreto.

Ce ne saranno tanti, sicuramente. Sì, ma perché poi anche le tematiche un po' si ripetono fondamentalmente nel senso anche provocatrici che appoggino il collettivo o per esempio, che appoggino, non lo so, la classe operaia, le persone più invisibili nella società.

Ne ho fatte parecchie. Quindi in realtà non c'è solo una con cui io sia più legato, in realtà ce ne sono tante, ce ne sono tante.

Iride: Da qualche anno lavori anche con gli studenti delle scuole elementari. Di che cosa ti occupi? E com'è nato questo progetto?

Dino Caruso Galvagno: Elementari e medie. Quelle che sono le medie in Spagna, diciamo, le superiori, medie e superiori, perché il ciclo formativo spagnolo cambia un po' da quello italiano.

Allora è nato perché e qui apro, come si dice in Spagna, è un altro melone, c'è un'altra tematica grossa: poco si parla della precarietà del mondo artistico. Molte volte da fuori magari vediamo questi creativi lavorare per i clienti più importanti a livello internazionale e nazionale.

Però non è sempre ora tutto ciò che luccica, come diceva Tolkien.

Quindi molte volte magari passi mesi avendo un sacco di commissioni con clienti stratosferici incredibili e il mese dopo magari no. E anche noi artisti dobbiamo pagare un affitto come tutti.

Quindi, la scuola, per esempio, è nata perché cercavo un lavoro anche per equilibrare e mi hanno proposto di fare delle lezioni relative ovviamente ai miei campi, perché dò lezioni di illustrazione e animazione 2D e fumetto. Queste lezioni extra scolari a questi ragazzi e a queste ragazze e devo dire che è bello perché alla fine è quello che mi sono ritrovato improvvisamente a dover, non l'avevo mai pensato, a insegnare ciò che a me piace.

Non è solo produrre e cioè fare ciò che a me piace, che è disegnare, ma anche insegnare a qualcun altro a disegnare che è una cosa molto, molto bella.

Inizialmente mi sono pure sentito inesperto. Nel senso:" Chi sono io per poter insegnare a disegnare a qualcun altro?". Però le cose vanno bene e sono ricevuto bene da tutti, dagli alunni e dalle alunne e quindi questa cosa è andata così e continua e sono contento perché poi alla fine anche quello è un è un ambiente anche di stimolo e anche perché, a parte il fatto che ci sono molti ragazzini e ragazzine bravissimi e quindi ti ritrovi molte volte ad avere anche dei dialoghi come se fosse con un tuo simile.

Molte volte parlo di fumettisti, parlo di stili con magari una ragazzina di sette anni, perché è bravissima, perché è super appassionata e a una certa parliamo io del mio fumetto e lei del suo. E in questo ambiente quello che è scolastico credo che sia, bellissimo, perché avrei voluto io avere, ritrovarmi in un ambiente scolastico di questo tipo, per esempio.

Iride: Che cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Dino Caruso Galvagno: Bella domanda! Cosa mi piace? Ah bhe, allora mi piace, perché? Perché mi fa stare bene. Proprio così. Istintivamente ti direi perché mi fa stare bene.

Mi fa dimenticare qualsiasi altra cosa e molte volte mi ritrovo ore e ore a disegnare, senza rendermi conto del tempo che passa e e questo purtroppo è anche un rischio.

I miei amici e molte volte, mi prendono in giro dicendo che io fondamentalmente tenga una vocazione eremitica, perché potrei stare in una stanza o in una caffetteria, disegnando ore e ore senza avere nessun tipo di contatto umano che non sia più in là del mio blocco schizzi.

Che questo ha i suoi pro e i suoi contro. E quindi questo perché mi fa stare bene, molto bene.

Ho scoperto negli ultimi anni che è uno strumento estremamente potente. È uno strumento non solo di comunicazione. Noi in generale apprendiamo prima a disegnare che a scrivere. Quindi fondamentalmente è un linguaggio universale che arriva quasi ovunque, direi, se non ovunque.

Quindi non ha nessun tipo di barriera e è uno strumento molto ma molto potente perché in realtà tu puoi puoi affrontare tematiche, puoi provocare tante cose con un semplice disegno, un'illustrazione, un fumetto e un'animazione. Quindi è per questo che sono tutte queste cose e te ne troverei altre centomila ragioni per cui mi piace farlo.

Iride: Hai menzionato che quando disegni entri in un tuo mondo. Che tipo di mondo è?

Dino Caruso Galvagno: È uno spazio sicuro, estremamente aperto. Che ha anche i suoi lati d'ombra, perché comunque il buio e l'ombra mi hanno sempre affascinato.

Però non è quell'ombra e quel buio che possano far male alla gente. Che quella è un'altra cosa. Quello è il buio vero.

Quello che magari l'esclusione, la violenza. Quello sì che è il buio vero. Poi invece l'arte molte volte credo che possa contenere un buio che è molto più interessante.

L'arte può essere un campo, un ambiente estremamente aperto, estremamente accogliente. E fondamentalmente, appunto, può non escludere nessuno e diciamo che l'arte può anche affrontare tematiche oscure.

Io posso parlarti di bullismo, però lo faccio da un'intenzione di visibilizzare quella realtà terribile, per esempio. Quindi in realtà è un campo accogliente che parla di ciò che magari tu ti porti dentro, incluso il buio, incluso le cose più terribili.

Però non lo fa con quell'intenzione di come magari può succedere nella società, come magari ci insegnano le guerre, che è oscurità vera, che è buio vero, che fa male, che crea danni e che crea delle conseguenze. L'arte potrebbe parlare di mille cose, invece e lo potrebbe fare semplicemente per la voglia di visibilizzare e di dare voce a chi non ha voce. Ecco.

Iride: Quando parli di arte, intendi la tua arte o intendi in generale l'arte?

Dino Caruso Galvagno: Allora io non mi definisco artista perché mi sembra una parola infinita. Mi sembra una parola importantissima e mi vergogno dire:" Sono un artista, faccio arte."

 E per questo mi piace molte volte dire:" Io disegno." E sono fondamentalmente una persona che disegna.

Iride: Non ami essere definito un artista, non ami che ti si definisca in questo modo. Che cosa significa per te essere un artista?

Dino Caruso Galvagno: Uff, complicato. Cosa significa essere un artista? Ma credo che oggi, per esempio, essere un artista non è quello che magari significava cinquecento anni fa. Ma neanche sessant'anni fa, credo.

Oggi essere artista credo che sia una responsabilità. È come avere un megafono, è come avere un microfono molto ma molto potente e quindi puoi improvvisamente, parlare di cose di cui non si parla o visibilizzare cose che non sono visibilizzate.

Puoi provocare, puoi chiamare in causa, puoi chiamare al dialogo e credo che oggi essere artista significa anche essere attivista. Dovrebbe, perlomeno.

Perché molte volte, sennò si rischia che l'arte diventi pura decorazione. Diventa un ambito di cose belle, di cose piacevoli, però, che fondamentalmente non smuovono nulla, non hanno delle conseguenze nella realtà in cui viviamo.

Iride: Quali sono le artiste e gli artisti che per te sono stati e state fonte di ispirazione?

Dino Caruso Galvagno: Sono tantissimi. Potrei farti mille nomi e ho una cattiva memoria, fra l'altro.

Tra l'altro qualcuno di questi tu lo hai già intervistato. Quindi persone come Giopota, come Noah Schiatti e ovviamente stimo tantissimo il loro lavoro. E ci sarebbe Massimo Basili pure che lo hai intervistato, ci sarebbe Giacomo Agnello Modica, ci sarebbe Giulia Pastorino per esempio e Mariachiara di Giorgio, Andrea Settimo. Sono un sacco di persone che stimo tantissimo per il loro lavoro.

Iride: Ti vedremo lavorare con loro prossimamente oppure preferisci lavorare da solo?

Dino Caruso Galvagno: No no, in realtà no. Sono un eremita, però in realtà poi neanche troppo, giusta misura. Mi piace dialogare, mi piace collaborare con la gente, mi piace anche confrontarmi con altre persone che facciano il mio stesso lavoro, perché comunque ti fa crescere.

Ti fa crescere.

E magari una collaborazione con qualcuno di loro su un fumetto su delle illustrazioni. Sarebbe bellissimo. Mi sentirei parecchio onorato, devo dire.

Qui dalla dalla mia grotta eremitica.

Iride: Hai già qualche progetto nel cassetto che ci puoi anticipare per i prossimi mesi?

Dino Caruso Galvagno: Progetti nel cassetto. Allora ho una carpetta piena di bozzetti. Perché sono molto impulsivo, quindi molte volte riesco a fare bozzetti, un sacco di bozzetti e poi non porto nessuno a termine, ma ti parlo di bozzetti di anni, cioè di almeno due tre anni, quindi progetti... vedere quella carpetta finita con tutti i bozzetti che finalmente siano definiti e sto lavorando delle storie in fumetti, perché mi piacerebbe raccontare delle storie.

Perché mi sono ritrovato ad essere un appassionato di fumetti sin dalla giovanissima età e improvvisamente da adulto dire:" Aspetta un attimo, ma tu non hai mai fatto un fumetto? Ma perché?".

Quindi sto lavorando a dei fumetti, a delle storie, che mi piacerebbe presentare. Mi piacerebbe avessero visibilità, diciamo.

Iride: Chi volesse scoprire i prossimi progetti i prossimi fumetti di Dino Caruso Galvagno può seguirlo sui social che potete trovare qua in descrizione e come sempre io ti ringrazio tantissimo per essere stato con noi. Potete trovare queste interviste, qualche contenuto speciale, tutti i contatti per andare a scoprire meglio Dino Caruso Galvagno sul nostro sito Iride.art e nei link in descrizione.

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Dino Caruso Galvagno: Grazie a te, Guido